Oltre l'uomo

Intelligenza artificiale, nuove tecnologie, attualità e riflessioni filosofiche.

Alcuni giorni fa “Il Foglio” ha pubblicato un articolo dal titolo piuttosto interessante: “Come rendere la filosofia a prova di AI? Basta abolire la tesi di laurea”, di Antonio Gurrado. Come si può evincere dalla scelta del nome, l’autore di questo testo propone di modificare il curriculum della laurea in filosofia, sostituendo la tradizionale tesi con una prova finale alternativa, meno vulnerabile agli abusi dell’intelligenza artificiale generativa, che permetterebbe ad uno studente disonesto di produrre l’elaborato senza alcun impegno.

L’argomento, di per sé, non è privo di fondamenti: ci sono numerosi esempi che potrei fare per mostrare come la GAI (generative AI) possa essere utilizzata in modo disonesto in ambito scolastico o lavorativo, e le difficoltà nell’identificare se un contenuto sia “vero” o artificiale dovrebbero ormai essere ben note anche al grande pubblico grazie ai numerosi deepfake che si sono diffusi negli ultimi anni. Che l’intelligenza artificiale possa essere utilizzata per realizzare le tesi di laurea è quindi assolutamente possibile, se non addirittura probabile. Detto ciò, quella proposta da Gurrado mi sembra una soluzione non solo piuttosto estrema, ma anche molto meno efficace di quanto egli sembri pensare. Andiamo dunque a vedere perché.

Una nuova mano di vernice per un vecchio problema: usare l’intelligenza artificiale è differente dal copiare?

Molti corsi di laurea richiedono ai loro partecipanti di produrre elaborati di un qualche tipo: ricerche, presentazioni, analisi di articoli e riassunti sono tutti ottimi esempi. Tra questi elaborati il più importante in assoluto è però quello finale, ossia la tesi. Questo documento rappresenta infatti il culmine del percorso formativo del laureato, dimostrando la sua padronanza di termini, concetti e competenze apprese, ma soprattutto la sua capacità di ideare e sviluppare un progetto, di raccogliere i materiali necessari, e di presentare e discutere il proprio lavoro. Ovviamente, ciò vale anche (e soprattutto) per il corso di filosofia, dove la tesi è una parte centrale dell’esperienza formativa, volta sia a testare lo studente sia a permettergli di acquisire esperienza pratica nella stesura di testi accademici. Ed è proprio qui che entra in gioco l’intelligenza artificiale: ChatGPT e altri sistemi simili possono infatti essere usati per produrre testi anche piuttosto lunghi e complessi, come articoli scientifici, libri e, perché no, anche tesi di laurea. Come si può immaginare, questo è un grosso problema per gli atenei: farsi scrivere l’elaborato finale da un computer va ad inficiarne completamente il valore, in quanto lo studente non prova di possedere nessuna delle competenze richieste – e, al contrario, dimostra di essere pigro, disonesto e inaffidabile. Individuare le tesi realizzate da un’IA può però non essere semplice, soprattutto per quanto riguarda una materia che si specializza nel produrre scritti di difficile comprensione.

Questi fatti costituiscono la base del ragionamento di Antonio Gurrado, portandolo quindi ad una semplice conclusione: se è impossibile essere sicuri che un testo sia stato scritto da mani umane e non da un computer, allora sarebbe meglio evitare di doversi porre la domanda, e rimpiazzare la tradizionale tesi scritta con delle nuove prove orali, impossibili da falsificare con l’IA. L’idea, come ho detto, è interessante, ma si basa su di un presupposto errato, ossia che quello delle tesi AI-generated sia un problema grave, diffuso ed irrisolvibile. In realtà la situazione non è infatti così seria come potrebbe sembrare leggendo l’articolo del Foglio, per due motivi:

  • Innanzitutto, è opportuno ricordare che l’intelligenza artificiale non è una fonte di informazioni particolarmente affidabile. Al contrario, essa tende a fare errori e strafalcioni, e può addirittura inventarsi le cose di sana pianta. Questo è ovviamente un problema per chi la usa, ma può anche essere un grande vantaggio per chi sta cercando di identificare l’origine di un testo: la presenza di argomenti o concetti assurdi o inesistenti è infatti un ottimo modo per individuare una tesi AI-generated. Considerato che queste “allucinazioni”, come sono chiamate, sono molto più frequenti quando il sistema trova informazioni imprecise, contraddittorie o in scarse quantità, in aggiunta ad una certa tendenza a ripetere ed esagerare gli errori già commessi, non è quindi difficile immaginare che una tesi scritta in tale modo presenterà almeno una o due assurdità facilmente individuabili da qualsiasi filosofo competente. Posto poi che l’elaborato finale viene steso con la supervisione di un relatore, che legge e valuta le varie bozze per suggerire cambiamenti o correzioni, questo genere di errori dovrebbe venire individuato abbastanza velocemente. A ciò bisogna poi aggiungere la presenza di altri elementi (come ripetizioni, banalità, o frasi scollegate) che possono aiutare a riconoscere un testo artificiale, e l’esistenza di programmi realizzati appositamente per svolgere tale incarico;
  • Ammettiamo pure che l’IA abbia realizzato uno splendido elaborato, privo di qualsivoglia errore e capace di passare lo scrutinio di relatore, commissione e strumenti di rilevazione. A questo punto io mi chiedo: in che modo essa sarebbe differente da qualsiasi altra tesi “truccata”? L’intelligenza artificiale non è né l’unico né tantomeno il primo strumento con cui gli studenti abbiano cercato di imbrogliare alla prova finale: le tesi venivano copiate, acquistate o fatte scrivere da altri ben prima che ChatGPT venisse inventata. In tutti questi casi gli atenei hanno analizzato il problema, individuato dei metodi per riconoscere i falsi, e adottato adeguate contromisure: non vedo perché le cose dovrebbero andare diversamente per l’IA. Quella di abolire la tesi sarebbe una soluzione sensata se ci trovassimo a dover affrontare un problema del tutto nuovo e difficilmente risolvibile, piuttosto che una questione già conosciuta e gestibile. A tal riguardo penso che sia particolarmente interessante l’affermazione di Gurrado che non ci possa mai essere la “certezza assoluta” che una tesi non sia stata scritta da un computer: ciò è certamente vero, ma è anche valido per tutti gli altri metodi di “barare” che ho menzionato. Considerato che le tesi si fanno ancora, un certo livello di incertezza è chiaramente accettabile per gli atenei italiani.

Sostituire la tesi: le proposte di Gurrado possono funzionare?

La mia critica alla proposta di Gurrado parte quindi dal fatto che essa sembra una risposta piuttosto esagerata ad un problema tutto sommato gestibile. Tuttavia, questo non è l’unico punto su cui ci troviamo in disaccordo: come parte della sua argomentazione, l’autore propone infatti di rimpiazzare la tesi con due prove orali, ossia la lettura e discussione di quattro classici della filosofia per la laurea triennale, e un dibattito pubblico su di un argomento collegato al proprio indirizzo di studi (filosofia politica, estetica, etica ecc.) per la laurea magistrale. Si tratta di idee interessanti, che però mi sembrano comunque inferiori all’elaborato scritto, ed incapaci di fornire lo stesso valore ed utilità.

Iniziamo dalla prova per la triennale. A prima vista, questa può sembrare un buon modo per valutare le competenze di uno studente, combinando lettura e comprensione del testo alla capacità di spiegarlo e discuterlo. Tuttavia, questa struttura la rende sostanzialmente identica alla maggior parte degli esami del corso in filosofia, che si svolgono allo stesso modo: leggere dei testi per poi discuterli di fronte al professore. Da questo punto di vista mi sembra assai poco efficace come prova finale, soprattutto se paragonata alla tesi, che va a testare una selezione molto più ampia di capacità: l’elaborato scritto richiede infatti di saper identificare e sviluppare un argomento, di essere in grado di selezionare, leggere e comprendere testi atti a supportare le proprie affermazioni, e di essere capaci di sostenere e spiegare la propria tesi, il tutto garantendo anche un elevato livello di qualità formale. Di minore importanza, ma comunque da non tralasciare, vi è poi la scelta dei libri, che Gurrado descrive come “classici” della filosofia: l’uso di testi molto conosciuti, e potenzialmente anche già studiati, potrebbe infatti semplificare eccessivamente questa prova, permettendo al neolaureato di prepararsi in anticipo su quali saranno gli argomenti e le domande più probabili. Detto ciò, tale problema potrebbe essere affrontato semplicemente facendo ricorso ad una selezione più ampia, che includa opere più moderne o meno famose.

Lo stesso argomento sulla superiorità dell’elaborato scritto si applica poi anche alla prova per la laurea magistrale, seppur con alcune differenze. Qui Gurrado si ispira infatti alle “quaestiones” medievali, ossia una sorta di dibattito tra gli studenti, per proporre un esame che si concentra sul valutare la capacità dell’alunno di improvvisare ed esporre un’argomentazione su uno dei temi teorici in cui si specializza. L’idea è buona, ma mi sembra più adatta ad una laurea triennale che ad una magistrale. Quest’ultima dovrebbe infatti focalizzarsi di più sul fornire e testare le competenze necessarie a produrre testi di natura filosofica che sul valutare conoscenze che, presumibilmente, sono già state acquisite e valutate nei singoli corsi. Si tratta certamente di un passo nella direzione giusta, ma per uno studente che abbia deciso di fare una laurea magistrale in scienze filosofiche l’esperienza pratica fornita da una tesi è probabilmente più utile.

Filosofia e intelligenza artificiale: due visioni differenti

In conclusione, penso che il mio disaccordo con l’argomento proposto da Gurrado dipenda in realtà dal fatto che interpretiamo sia la filosofia, sia l’intelligenza artificiale in due modi diversi. L’impressione data dall’articolo del Foglio è infatti quella di qualcuno che vede l’IA generativa come uno strumento pericoloso, o quantomeno facile da abusare, e il corso di laurea in filosofia come prevalentemente mirato ad insegnare e testare la conoscenza degli studenti su temi, concetti e termini filosofici. La mia opinione è invece leggermente diversa in entrambi i casi.

Per quanto riguarda la GAI, non nego che questa possa avere un impatto considerevole sulla nostra società, e ho anzi già affrontato alcuni dei problemi che essa può causare in altri articoli. Tuttavia, mi sembra che la minaccia rappresentata da questa tecnologia venga molto spesso esagerata: per tornare all’argomento della tesi, una situazione problematica esiste certamente, ma le limitazioni dei sistemi di IA e l’adozione di adeguate contromisure possono ridurne considerevolmente la capacità di causare danni, e lo stesso vale anche per la gran parte delle altre complicazioni derivanti dall’uso dell’intelligenza artificiale. A tal riguardo penso poi che sia utile evidenziare come questi problemi siano perlopiù questioni già note e preesistenti, piuttosto che qualcosa di completamente nuovo: ad esempio, i deepfake esistevano già ai tempi di Stalin, che faceva cancellare i suoi nemici dalle foto, e disinformazione e fake news sono ancora più antichi; i dibattiti sul copyright sono iniziati molto prima dell’IA, quando l’internet ha reso possibile la condivisione di contenuti online; e, ovviamente, le tesi venivano truccate prima ancora che i computer diventassero di uso comune. In sostanza, la GAI è semplicemente uno strumento che può essere utilizzato per semplificare, velocizzare e rendere più accessibili una serie di attività: potenzialmente pericoloso se usato da un malintenzionato, ma non qualcosa di intrinsecamente dannoso o catastrofico.

Parlando invece della filosofia, penso che qui la differenza principale si trova nel valore che attribuiamo alla conoscenza di temi, concetti e terminologia. Le prove finali proposte da Gurrado si basano infatti su una combinazione di tale conoscenza e della capacità di saperla argomentare: come ho già notato, la sua idea per la triennale consiste nel discutere dei classici della filosofia, mentre quella per la magistrale è un dibattito su un tema teorico legato ai principali ambiti filosofici. Il filosofo è, come dice l’articolo, colui che sa fare un “sapiente utilizzo di termini, concetti e relative sfumature”, e il corso di laurea dovrebbe fornire e testare tali conoscenze in primis. Il problema è che una visione del genere tende a degenerare in un vuoto nozionismo che è ben lontano dalla vera filosofia, alle cui radici si trova la famosa frase “hoc unum scio, me nihil scire”, ossia “so solo questo, di non sapere nulla”. Ciò non vuol dire che le conoscenze apprese durante il percorso formativo non siano importanti, anzi: esse sono la base che permette di comprendere la filosofia, le sue idee e la sua storia. Tuttavia, lo studente che si limita ad apprendere una semplice conoscenza enciclopedica di chi ha detto cosa è esattamente quello a cui Gurrado si riferisce come lo “studente mediocre”, per cui la tesi è inutile: egli conosce la filosofia, ma non ha imparato a farla. Al contrario, lo “studente bravo”, per cui la tesi è superflua, è quello che ha acquisito qualcosa di più, un modo di pensare, un occhio critico, l’abitudine di mettere le cose in discussione e di creare e sviluppare le proprie idee: possiede le conoscenze, ma queste sono solo un punto di partenza per le sue riflessioni. Ed è proprio questo il motivo per cui la tesi è superiore alle proposte di Gurrado. Queste ultime, sebbene interessanti, si limitano infatti a valutare, per l’ennesima volta, le capacità di lettura, di comprensione e di memorizzazione degli alunni, e sono quindi superflue sia per gli alunni bravi che per quelli mediocri. La tesi offre invece la possibilità di elaborare una riflessione propria, proponendo così all’aspirante filosofo una rara occasione per mettere alla prova le sue competenze e, allo stesso tempo, acquisire dell’utile esperienza pratica.

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Una replica a “Tra la filosofia e l’intelligenza artificiale: la questione della tesi di laurea”

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